La situazione

La disoccupazione giovanile al 34% diversamente distribuita fra Nord e Sud è una delle più gravi criticità economiche e sociali del Paese. Il 26% dei giovani sono Neet, oltre 2 milioni di giovani che non studiano e non lavorano e al Sud in una proporzione quasi doppia del Nord. La dispersione scolastica pesa per il 18% della popolazione scolastica. D’alto canto si registra uno skill gap di almeno 100/150.000 posti di lavoro non coperti per mancanza di competenze che è destinato a crescere con lo sviluppo dell’Industria 4.0.

In questa situazione e in uno scenario in cui il 50% dei mestieri e delle professioni che ci saranno fra 5/10 anni oggi non esistono ancora, diventano strategiche scuole che combinino aderenza al mercato del lavoro e innovatività, che siano basate su concretezza e apertura al cambiamento, che formino hard e soft skills. Ossia le scuole di istruzione professionale e tecnica e gli Istituti Tecnici Superiori ITS.

 

Il potenziamento dell’offerta formativa italiana

Un primo tentativo di costruire in Italia qualcosa di simile alle Fachhochschule tedesche era stato affidato a Federico Butera nel 1998 dal premier Prodi e dal ministro della Pubblica Istruzione Berlinguer: il progetto, condotto in collaborazione fra Ministero della Pubblica Istruzione, CRUI e Confindustria fu approvato dalla Conferenza Stato Regioni il 9 Luglio 1998 e venne approvato con la legge 144/99, ma fu poi prontamente ridotto a una versione limitata ai corsi IFTS di sola competenza di Regioni e Direzione Istruzione del Ministero. Con il Decreto Legislativo del 7 febbraio 2013 sono stati vigorosamente rilanciati i corsi ITS di durata fra 4 e 6 semestri di cui il 30% in azienda e con il corpo docente proveniente per almeno il 50% dal mondo del lavoro.

Gli 85 Istituti Tecnico Superiori post secondari ITS in Italia in questi anni hanno raggiunto risultati importanti ma non imponenti: fanno registrare un tasso di occupazione di circa l’85% alla fine dei corsi ma purtroppo hanno ancora solo circa 9.000 studenti. In Germania gli allievi delle omologhe Fachhochschule sono invece 880.000, un numero che incide marcatamente sui tassi di occupazione giovanile e sulla produttività delle imprese.

La struttura e i numeri delle Università italiane a loro volta sono quantitativamente in linea con altri Paesi europei: 95 università tra pubbliche e private coinvolgono oltre 1,6 milioni di studenti. Ma con le principali eccezioni di medicina e ingegneria, le università offrono formazione della persona e titoli di studio ma per lo più non forniscono formazione abilitante per svolgere professioni richieste dal mercato del lavoro, demandandola ai datori di lavoro dopo l’assunzione.

 

Le proposte della Fondazione Irso su Università e ITS

I rapporti fra il sistema universitario e i canali di istruzione post-secondari non universitari in Italia non sono mai stati facili. Università e ITS devono ora però condurre insieme la medesima partita, progettando una divisione del lavoro e una sperimentazione focalizzata su obiettivi misurabili della occupazione dei giovani e della produttività dell’impresa.

1. Permeabilità Università/ITS

Per evitare la cannibalizzazione degli ITS da parte delle future lauree professionalizzanti occorre attivare iniziative concrete sia un quadro di sistema che renda compatibili, sinergici, permeabili i due sistemi. Le prime iniziative concrete sono quella di riattivare la esistente “passerella” che consenta ai diplomati dei corsi ITS l’acquisizione di crediti riconosciuti dalle Università e quella di prevedere una nuova “passerella” fra Università e ITS che renda possibile l’assorbimento negli ITS di parte degli studenti che abbandonano l’Università (il 20% dopo un anno, il 39% dopo due anni, il 45,2% dopo tre anni).

2. Una situation room fra MISE, MIUR, Ministero del lavoro

L’azione di sistema è quella di rafforzare le sinergie fra MIUR, Ministero del Lavoro, MEF, Regioni e aziende.

3. Ridefinire la divisione del lavoro fra i canali formativi progettando new skills for new jobs. Occorre una nuova fase di analisi e progettazione del saper fare, dei mestieri, delle professioni e delle competenze necessarie per lo sviluppo e la diffusione delle imprese dell’Italian Way of Doing Industry.

Il saper fare di queste imprese è quello degli imprenditori capaci di tradurre l’offerta di eccellenza in soluzioni di business globale; è quello dei manager capaci di costruire e gestire industrie innovative intorno ai prodotti e servizi di eccellenza; è quello degli scienziati che progettano nuovi sistemi tecnologico-organizzativi; quello degli artisti che creano prodotti e servizi belli e industrializzabili di nuova concezione: questo ampio campo del saper fare italiano è probabilmente l’area delle professioni che l’Università può meglio sviluppare.

Il saper fare dei ruoli, mestieri e professioni che operano nei processi di realizzazione di prodotti e servizi di alta qualità al cliente finale o intermedio; che contribuiscono a integrare processi, tecnologie, attività altamente complesse e interdipendenti; che animano o partecipano proattivamente al lavoro di gruppo: tutto questo può essere l’area dei mestieri e delle professioni sviluppate dall’ITS.

Il saper fare dei tecnici e degli artigiani capaci di realizzare i prodotti usando la propria maestria della mente e delle mani è invece l’area dell’istruzione tecnica e professionale.

4. Rafforzare strutturalmente il sistema ITS. Costituire una Direzione Generale presso il Miur, potenziare i presìdi regionali, dotare il sistema di risorse maggiori, rafforzare i titoli di diplomi, potenziare i servizi alle imprese e al sistema scolastico e forse cambiare la denominazione di ITS, dando più rilievo al suo carattere di robusto canale formativo parallelo all’Università.

5. Potenziare la comunicazione alle famiglie e agli studenti. Il MIUR, le Regioni, gli Uffici Scolastici Regionali, le associazioni imprenditoriali, stanno moltiplicando incontri e convegni per illustrare le caratteristiche dell’ITS e degli altri canali formativi. Occorre coinvolgere maggiormente i quotidiani, la televisione, il cinema, i social media e tornare a raccontare il lavoro, i percorsi formativi e le opportunità per i giovani.

6. Promuovere la partecipazione delle imprese. Una recente ricerca di Assolombarda sui costi e i vantaggi dei corsi ITS per le Imprese ha mostrato che solo il 36% delle aziende conosce gli istituti di Istruzione Tecnica Superiore (ITS), ma il 65% sarebbe interessata a collaborare ad essere coinvolta in percorsi formativi. Occorre promuovere forti incentivi economici, normativi, di immagine che spingano un numero molto più elevato di imprese a partecipare sia all’ITS che alle lauree professionalizzanti, identificando le differenziate reason why per partecipare.

7. Promuovere e diffondere progetti esemplari. Molte delle 85 Fondazioni ITS stanno accumulando casi virtuosi, esperienze e dati preziosi sulla “via italiana all’ITS”: assetti organizzativi e di collaborazione scuola/impresa, profili professionali reali, sistemi di selezione, metodi formativi, formazione di formatori e molto altro. La Regione Lombardia e la Regione Emilia Romagna per esempio hanno attivato progetti di ricerca-intervento sui casi più virtuosi. Assolombarda promuove progetti pilota ITS e di Lauree Professionalizzanti. Altagamma ha avviato un progetto per lo sviluppo di Poli Tecnico Professionali sui curricula delle imprese culturali e creative.

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